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Comportamento
Le bugie hanno le gambe lunghissime



Raccontate per educazione o per difesa, per apparire attraenti o per non far soffrire un'altra persona, le bugie fanno parte della vita sociale. Spesso sono dignitose vie di fuga da situazioni imbarazzanti e spiacevoli. Ma possono anche rivelarsi un'arma a doppio taglio, soprattutto quando non mentiamo più agli altri ma a noi stessi, per sfuggire all'ansia e allo stress...
Diffidate di chi afferma di dire sempre la verità. Probabilmente sta mentendo spudoratamente. Perché delle bugie - utilitaristiche, cortesi o pietose che siano - non possiamo fare a meno. Sono loro, infatti, che ci permettono di "sopravvivere" in situazioni particolarmente difficili o imbarazzanti. "Le bugie stanno alla base di tutti i gruppi sociali, tanto che non solo gli uomini ma anche gli animali ne fanno uso", spiega Luigi Anolli, docente di Psicologia della comunicazione all'Università Cattolica di Milano e direttore del Centro studi e ricerche in Psicologia della comunicazione dello stesso ateneo. "Le femmine di scimmia, per esempio, approfittano dell'assenza del loro compagno "ufficiale" per accoppiarsi con un altro maschio. E i gregari, cioè i membri non dominanti del gruppo, nascondono le banane al capobranco, per poterle mangiare in pace anziché consegnargliele. La bugia ha insomma a che fare con la gestione di risorse scarse, come possono essere il cibo o le femmine". Tra gli uomini, però, le cose si complicano e assumono sfumature e motivazioni diverse. C'è la bugia "bianca", sociale, che si dice per educazione e per non ferire la sensibilità altrui ("Questo vestito ti sta benissimo"). C'è la bugia pedagogica, da raccontare ai bambini per gratificarli ("Mamma, ti piace il mio disegno?", "Certo, è meraviglioso"). La bugia utilitaristica, usata spesso sul lavoro per evitare un incarico difficile o noioso ("Direttore, me ne occuperei volentieri io, ma devo aiutare mia zia a traslocare"). La bugia di autopresentazione, una "piccola" forzatura della realtà per apparire più interessanti o attraenti ("Ho scalato l'Everest senza ossigeno"). La bugia protettiva, classica "di coppia", alla quale si ricorre per non far scoprire un tradimento al partner ("Ieri non mi hai trovato a casa perché ho dormito da un'amica"). L'omissione, che non è una vera e propria menzogna, ma una verità taciuta. E poi, la nobilissima bugia a fin di bene, che ha l'obiettivo di risparmiare un dispiacere a un'altra persona ("Guarda che il tuo ex fidanzato mi ha detto che ti ama ancora") ed è tipica di chi si attribuisce compiti di controllo e gestione all'interno di un rapporto. "La bugia a fin di bene riflette una visione un po' onnipotente di sé e una scarsa fiducia nelle capacità altrui di affrontare la realtà, per quanto spiacevole e dolorosa possa essere", afferma Roberta Rossi, psicologa e sessuologa dell'Istituto di sessuologia clinica di Roma. La bugia non è mai fine a se stessa, ma è un comportamento strategico. "L'adolescente che non racconta ai genitori cosa fa davvero la sera quando esce con gli amici mette in atto una strategia", dice Giuseppe Mantovani, docente di Psicologia degli atteggiamenti all'Università di Padova. "Mente per difendere la lealtà verso il gruppo dei coetanei". Oltretutto a volte essere bugiardi con alcune persone ci permette di essere onesti con altre. Il nodo cruciale, dunque, non è tanto l'alternativa tra mentire o dire la verità, ma la scelta dei soggetti da ingannare e di quelli con cui essere sinceri. Dilemma di difficile soluzione, soprattutto in una società come la nostra dove la verità e la massima apertura sono considerate valori morali. "Ma non si tratta certo di dogmi universali", aggiunge Mantovani. "In Cina raccontare la verità è considerato un comportamento stupido, perché significa scoprirsi, un po' come andare in giro nudi". Per gli orientali in generale, essere aperti e sinceri - anche tra persone con un certo grado di intimità - può costituire un'infrazione a regole sociali condivise. "Per i musulmani, l'inganno è condannato dal Corano", dice Jolanda Guardi, esperta di cultura araba dell'Associazione Italia-Asia di Milano. "Sono invece diffuse le omissioni, le cose che si tacciono per pudore". Basta pensare che nei Paesi islamici chiedere a un uomo come sta sua moglie è visto come un'intromissione nella sua vita privata. "Non dobbiamo stupirci, visto che la cultura è un modo di organizzare la realtà che cambia a seconda delle epoche e dei contesti", aggiunge Giuseppe Mantovani. E non serve scomodare l'Oriente. Anche senza fare tanta strada, nella cultura mafiosa - se di cultura si può parlare - l'omertà è un comportamento legittimo, socialmente approvato e incoraggiato. Insomma, se non siamo ipocriti, dobbiamo riconoscere che nel nostro sistema sociale la verità è sì un valore, ma solo a livello teorico. Un esempio? Tutti coloro che lavorano in un'azienda sanno che, nei momenti di crisi, bisogna fingere con i clienti e con la concorrenza che gli affari non sono mai andati così bene. Certo, un conto è la strategia d'impresa, un altro i rapporti interpersonali - d'amore o di amicizia - che dovrebbero essere sempre basati sulla massima onestà e chiarezza. "Ma essere leali non significa dire sempre la verità, in ogni circostanza e a qualsiasi costo", sottolinea la psicologa Roberta Rossi. "Tenere qualche segreto è una prova di indipendenza e maturità: sono i bambini che raccontando tutto alla mamma, gli adulti sanno anche tacere. Soprattutto, una verità sbattuta in faccia in modo brutale può essere anche un gesto aggressivo, attuato con lo scopo preciso di ferire". Un coltello per colpire alla schiena, nascosto dall'alibi della sincerità. "In amore, poi, confessare una scappatella "senza conseguenze" è anche un modo per liberarsi dei sensi di colpa e scaricarli sul partner", prosegue Roberta Rossi. Un elogio della bugia, dunque? "Sì, se si tratta di episodi singoli, parentesi che si aprono e si chiudono all'interno di un rapporto. Purché non diventino pretesti per costruire una doppia vita". La bugia, dunque, è un comportamento strategico solo se isolata. Altrimenti si innesca un circolo perverso dal quale non è più possibile uscire: menzogne sempre più grandi e gravi, usate per coprire le precedenti. E dal momento che sostenere queste complicate "sceneggiature" è stressante (oltre a richiedere una memoria impeccabile), prima o poi si finisce con l'essere scoperti. A meno che non si abbia a che fare con persone che "vogliono" credere alle menzogne. Con loro il gioco funziona a meraviglia. Ma allora si esce dall'ambito delle bugie raccontate agli altri e si entra nel campo minato degli inganni che tendiamo a noi stessi. "Bugie vitali": così le ha definite Daniel Goleman, ex docente di Psicologia all'Università americana di Harvard e "scopritore" della cosiddetta intelligenza emotiva (la capacità di riconoscere e gestire le emozioni). Secondo Goleman, la mente di ognuno di noi ha una "parte cieca", incapace di vedere le cose come stanno in realtà. E' grazie a questa "lacuna" della coscienza che possiamo raccontarci le bugie vitali: realtà negate, o alterate nel loro significato, perché troppo brutali e dolorose per essere sopportate. Così ci convinciamo che se non entriamo più in un vestito dipende da un lavaggio sbagliato e non dal fatto che siamo ingrassati. O crediamo che il partner faccia tardi la sera perché trattenuto in ufficio. Fino ad accettare situazioni gravissime. Molti psicoterapeuti riferiscono come certi pazienti, che da bambini hanno subito maltrattamenti in famiglia, tendano a descrivere i genitori violenti come persone affettuose ed espansive. Magari un po' severe, ma sempre preoccupate del benessere dei figli. Le bugie vitali sono l'equivalente psicologico delle endorfine, sostanze prodotte dal nostro corpo in situazioni di stress, che agiscono come anestetici naturali del cervello, danno un senso di euforia e riducono la percezione del dolore. Secondo Goleman, qualcosa di simile succede anche alla nostra attenzione, dotata di filtri per selezionare la realtà e farne arrivare alla coscienza solo una parte. Questi meccanismi ci proteggono da informazioni troppo disturbanti e traumatiche, che la nostra mente cancella o seppellisce nell'inconscio [vedi riquadro qui sotto], impedendoci di diventarne consapevoli. Non si tratta di eventi che fingiamo di ignorare, ma di veri "buchi" nella coscienza. La bugia vitale non funziona solo a livello del singolo individuo. Intere famiglie, gruppi o sistemi sociali mettono in atto meccanismi di selezione delle informazioni, ignorando quelle potenzialmente destabilizzanti. Non bisogna quindi stupirsi se le violenze in famiglia vengono commesse per anni sotto lo sguardo di tutti prima di essere denunciate. E si può interpretare in questa chiave il fatto che, durante il nazismo, buona parte dei tedeschi negassero, in perfetta buona fede, quello che avveniva nei lager. L'autoinganno è dunque un baratto con il quale accettiamo un calo dell'attenzione in cambio del sollievo dall'ansia e dallo stress. Ma c'è un prezzo da pagare per tutto questo: la mancanza di consapevolezza. Se dunque una modica quantità di illusione può essere benefica, è altrettanto vero che ignorare i problemi ci impedisce di risolverli. Perché non possiamo cambiare ciò che non vediamo. L'antropologo e psicologo statunitense Gregory Bateson sosteneva che "esiste sempre un valore ottimale oltre il quale ogni cosa diviene tossica: l'ossigeno, il sonno, la psicoterapia e la filosofia. Qualsiasi variabile biologica ha bisogno di equilibrio". Lo stesso vale per la sincerità e l'inganno. In qualche punto tra i due poli di comportamento - vivere una vita di bugie e dire sempre la pura verità - c'è il sentiero giusto che conduce al benessere e assicura la sopravvivenza.
Francesca Capelli

Newton 01 ottobre 1998



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