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Paleontologia
Un pianeta sotto ghiaccio



Se fosse possibile viaggiare nel tempo fino a ventimila anni fa, scopriremmo gran parte delle nazioni sepolte sotto enormi croste di ghiaccio. L'avvicendarsi delle glaciazioni, infatti, ha scandito il ritmo dell'evoluzione del nostro mondo e dei suoi abitanti. Scopriamo cause ed effetti dei grandi freddi del passato, scenari catastrofici che potrebbero anche ripetersi
Solo 20 mila anni fa, una immensa coltre di ghiaccio alta ottocento metri occupava gran parte dell'America Settentrionale e dell'Europa. I luoghi in cui oggi sorgono grandi città come Chicago, Boston, Glasgow, Stoccolma e Leningrado, erano completamente sommersi da un compatto strato di ghiaccio; così come la Scozia, l'Irlanda del Nord e l'Inghilterra settentrionale. Sul Canada e sulla Scandinavia lo spessore del ghiaccio raggiungeva addirittura i 2500 metri. Anche in Italia enormi ghiacciai scendevano dalle Alpi con il loro fronte, e per capire quanto fossero ampi è sufficiente pensare che le colline a Sud dei nostri laghi prealpini (Maggiore, Como, Iseo e Garda) altro non sono che le loro morene terminali (la morena è il cumulo di detriti trascinati dal ghiacciaio nel suo cammino). Vaste estensioni di tundra e steppe prive di alberi su cui vagavano mammut, rinoceronti lanosi e bisonti, occupavano grandi zone del nostro continente; più a Sud sorgevano foreste boreali di pini, abeti e betulle, mentre la foresta temperata di latifoglie si era ritirata in Nordafrica e nel Vicino Oriente. Gli effetti delle glaciazioni e dei cambiamenti climatici a esse connessi si fecero sentire ovunque. A quel tempo il deserto del Sahara era un verde prato e il bacino del Rio delle Amazzoni, oggi ricoperto dalla giungla, era una grande prateria. Un paesaggio inquietante ed estremamente diverso da quello che siamo abituati a vedere ai nostri giorni, ma abbastanza consueto per il nostro Pianeta. Newton vi racconta quali sono le ipotesi sulle cause che scatenano queste enormi oscillazioni climatiche, che influsso esse hanno avuto sulla fauna e sulla storia dell'umanità e apre un interrogativo inquietante: che cosa succederebbe se una nuova glaciazione dovesse ricoprire gran parte dell'emisfero settentrionale? Scopritelo nelle pagine seguenti. Il passato scritto in fondo al mare Negli ultimi due milioni di anni sulla Terra si sono verificate un gran numero di glaciazioni. In Europa ne sono state individuate almeno cinque principali, che secondo la "Cronologia alpina" (proposta all'inizio del secolo dai tedeschi Albrecht Penck e Eduard Brückner e dalla loro scuola di "Glaciologia e Geografia del Quaternario") oggi in parte superata, sono quelle di Donau, Günz, Mindel, Riss, Würm. Quella di Würm, fu probabilmente la più fredda, visto che la temperatura scese in media di quasi dieci gradi. Terminò appena 12 mila anni fa e raggiunse il suo culmine quasi ventimila anni or sono, quando i ghiacci ricoprirono gran parte dell'emisfero settentrionale. Accumuli di materiali trasportati e depositati dai ghiacciai (morene, tilliti, e "massi erratici") sono tracce geologiche di quei cambiamenti, che danno un'idea dell'estensione e della forza dei fenomeni glaciali. Eppure quando, a metà dell'Ottocento, il paleontologo svizzero Louis Agassiz provò a spiegarlo ai suoi contemporanei, nessuno gli credette. Ci vollero anni perché il mondo si convincesse che un tempo gran parte dell'Europa settentrionale e del Nordamerica erano ricoperte da un'immensa coltre di ghiaccio. Oggi sappiamo che questi grandi sconvolgimenti sono rimasti registrati sui fondali oceanici, veri e propri archivi della storia del clima. Quando le grandi masse glaciali si formano o si sciolgono, l'acqua degli oceani si arricchisce o si impoverisce di un isotopo dell'ossigeno che ha peso atomico 18 (l'ossigeno più comune ha peso atomico 16). Recenti scoperte hanno permesso di individuare nei gusci di carbonato di calcio dei foraminiferi (minuscoli organismi che compongono il plancton) stratificati sui fondali marini, tracce delle variazioni isotopiche dell'ossigeno, che consentono di ricostruire con una certa precisione le oscillazioni della temperatura delle acque, e quindi del Pianeta, nel corso dei millenni. Gli studi condotti sulla concentrazione degli isotopi di ossigeno nel ghiaccio polare completano i dati forniti dalle ricerche sul fondo oceanico. Le enormi carote di ghiaccio estratte in Groenlandia e nell'Antartide hanno permesso di ripercorrere i cambiamenti climatici avvenuti sulla Terra negli ultimi 400 mila anni, con una notevole precisione per i 150 mila finali. I risultati suggeriscono che vi è una periodicità di 100 mila anni nell'alternanza dei periodi glaciali, e che gli interglaciali non durano mai più di 15-20 mila anni. Il grande gelo che venne dal Sole Quali furono le cause che determinarono, in particolare durante il Pleistocene (tra due milioni e mezzo e 10 mila anni fa) le grandi glaciazioni? "Di ipotesi ne sono state fatte diverse", spiega a Newton Giuseppe Orombelli, geomorfologo dell'Università degli Studi di Milano e specialista delle variazioni climatiche nell'Olocene. "Si sono tirate in ballo eruzioni vulcaniche e possibili nubi di polvere cosmica che avrebbero fatto da filtro ai raggi del Sole, si è poi sostenuto che tutto dipendesse dalla variabilità nell'emissione termica solare. La maggior parte degli studiosi è però ormai concorde nel ritenere che le cause delle fluttuazioni del clima, che portano all'alternarsi di periodi glaciali e interglaciali, siano di tipo astronomico, come aveva intuito lo scienziato serbo Milutin Milankovic? nei primi decenni del XX secolo". I tre fattori responsabili delle fluttuazioni climatiche che portano alle glaciazioni sarebbero, secondo gli astronomi, i cambiamenti dell'inclinazione dell'asse terrestre, le variazioni dell'orbita ellittica del Pianeta e le precessioni degli equinozi (ovvero il loro lento movimento verso Ovest), in grado di modulare la quantità delle radiazioni solari ricevute dalla Terra alle alte e medie latitudini. "Una prova a sostegno della teoria astronomica arriva dagli studi fatti sui sedimenti marini e sui carotaggi nei ghiacci polari", continua Orombelli. "Queste ricerche hanno dimostrato una periodicità degli eventi climatici, in accordo con quella dei parametri orbitali sopra citati. Ed è difficile ritenere che sia una semplice coincidenza". Le perforazioni eseguite in Antartide hanno evidenziato, negli ultimi 400 mila anni, almeno quattro cicli climatici maggiori. In questi millenni il Pianeta avrebbe subito lunghi periodi glaciali, che, una volta raggiunta la fase più fredda, passavano rapidamente a periodi interglaciali (non più del dieci per cento del tempo), con una temperatura simile a quella attuale.Le cause astronomiche non sembrano però in grado di spiegare da sole tutte le vicende glaciali. "Sappiamo che le glaciazioni sono iniziate e terminate in modo brusco e che al loro interno sono riscontrabili oscillazioni climatiche, della durata di poche migliaia di anni, troppo brevi per essere giustificate dalle cause astronomiche. Per queste variazioni minori si è dovuto cercare un altro fattore scatenante. Attualmente si tende ad attribuirle a cambiamenti nella circolazione oceanica. Qualcosa di molto simile a un provvisorio dirottamento della Corrente del Golfo, la stessa che attualmente rende meno rigido il clima di regioni che sarebbero molto più fredde come l'Islanda, la Gran Bretagna e la Francia settentrionale" conclude Giuseppe Orombelli. Ma una risposta certa e definitiva è ancora lontana. Comprendere bene le cause scatenanti è però un'esigenza, visto che non ci sono buoni motivi per escludere una glaciazione futura sul nostro Pianeta. Un evento che provocherebbe più di una incertezza sulla nostra esistenza. L'epoca dei giganti pelosi Durante l'ultima glaciazione, quella di Würm, la temperatura scese di circa dieci gradi, il pianeta si raffreddò e le calotte polari si espansero. Molte zone dell'Europa e dell'America Settentrionale furono sommerse da una coltre di ghiaccio spessa, in alcuni casi fino a due chilometri e mezzo. Nei luoghi ricoperti dai ghiacciai la flora e la fauna, uomo compreso, scomparvero. Ma nelle vicinanze, enormi praterie e steppe, prive di alberi e solcate da numerosi fiumi formati dall'acqua di fusione dei ghiacci, presero il posto delle precedenti foreste di conifere e betulle, che si spostarono molto più a Sud. Questo divenne l'habitat di una fauna selvatica ben adattata al clima freddo. Di questi animali non sono rimaste che poche ossa fossilizzate, ma fortunatamente essi sono il soggetto principale delle rappresentazioni lasciate dagli "artisti" dell'era glaciale. Le impressionanti e suggestive figure sono una fonte insostituibile di informazioni sull'anatomia della fauna dell'epoca. Le più imponenti e famose pitture realizzate dagli uomini preistorici che abitavano le lande fredde e desolate dell'Europa durante l'ultima glaciazione, si sono conservate nelle grotte di Francia (Lascaux, Cosquer, Chauvet) e Spagna (Altamira). Se non fosse per loro, per esempio, non sapremmo che il Coelodonta antiquitatis, un enorme rinoceronte che abitava le steppe europee durante il Quaternario, era ricoperto da una folta pelliccia. Le ossa fossili recuperate dai ricercatori e le figure lasciate nelle grotte dai nostri progenitori, ci raccontano di un bestiario straordinario e sorprendente. Oltre al rinoceronte lanoso, un altro gigante delle pianure periglaciali dell'Europa e dell'Asia era il mammut (Elephan primigenius). Diversi esemplari sono stati ritrovati perfettamente conservati dal permafrost, il terreno siberiano perennemente gelato. L'ultimo, trovato pochi mesi fa a Nord della Penisola di Tajmyr, risale a ventimila anni fa. Nel periodo glaciale si diffondono anche il grande bisonte della steppa, il magacero (un cervo dalle enormi corna i cui resti più recenti risalgono a 10.600 anni fa) e l'uro, un possente bue selvatico che si è recentemente estinto (l'ultimo della specie morì nella foresta di Jaktorowska in Polonia nel 1672). Merita una citazione anche il gigantesco orso delle caverne (Ursus spelaeus) che abitò l'Europa occidentale fino all'Italia e alla Spagna. Tra i carnivori, oltre al leone delle caverne e alle iene, nella fauna dell'epoca glaciale sono presenti lupi, volpi e ghiottoni, quasi identici a quelli attuali. Sono invece rimaste immutate molte specie di erbivori: la renna, l'alce, il bue muschiato, il cervo, il camoscio e lo stambecco. E poi spuntò il grano Furono proprio i grandi cambiamenti climatici causati dalle prime glaciazioni a dare il via all'evoluzione dell'umanità? Gli antropologi hanno a lungo speculato su questa ipotesi. Circa quattro milioni di anni fa alcuni ominidi scesero dagli alberi per adottare un'andatura bipede ed eretta. Secondo molti ricercatori la causa scatenante del cambiamento fu il progressivo e graduale aumento dell'aridità, provocato dal raffreddamento del clima globale del Pianeta, che finì per ridurre notevolmente, in Africa, la presenza di foreste pluviali a favore del diffondersi delle savane. Ma se è difficile trovare altre evidenze di un condizionamento così forte del clima sull'evoluzione, sono certamente molti gli eventi che vedono la nostra specie alle prese con le oscillazioni della temperatura causate dalle glaciazioni. La dura lotta contro il freddo e la natura ostile non impedirono all'uomo la sopravvivenza, e all'inizio dell'ultima glaciazione, circa 70 mila anni fa, nelle praterie periglaciali d'Europa compare l'Uomo di Neandertal. Aveva una corporatura robusta e una muscolatura potente, si copriva con pelli, era un ottimo cacciatore e seppelliva i defunti. Scomparve 30 mila anni fa per essere rimpiazzato dagli uomini di Cro-Magnon. Questi erano più moderni e maggiormente in grado di adattarsi al clima rigido. Indossavano vestiti cuciti con aghi in osso, costruivano ripari, avevano una più complessa struttura sociale e dipingevano l'interno delle caverne. Furono sempre i cambiamenti climatici legati alle glaciazioni e i conseguenti abbassamenti del livello marino a consentire all'uomo di migrare in posti sconosciuti come l'Australia e le Americhe; e non può essere una coincidenza che la nascita dell'agricoltura e la domesticazione degli animali nelle società primitive si sviluppino solo alla fine dell'ultimo periodo glaciale. Tra i fattori principali che li hanno favoriti c'è la progressiva scomparsa dei grandi mammiferi dall'Eurasia e dall'Africa. L'estinzione di molte di queste specie costrinse l'uomo a trovare nuovi sistemi di produzione che assicurassero la sopravvivenza. Nel Vicino Oriente, alla fine del Pleistocene i cambiamenti climatici avevano consentito un considerevole ampliamento dell'areale di diffusione dei cereali selvatici, che potevano essere raccolti con facilità dalle popolazioni locali. Ed è proprio qui, nella cosiddetta "Mezzaluna Fertile", che intorno all'8500 a.C. nasce l'agricoltura. Quando dalla steppa russa Durante le glaciazioni che si alternarono lungo tutto il Pleistocene, grandi quantità d'acqua furono sottratte agli oceani dalle estese masse di ghiaccio. Queste infatti si formano grazie al vapore acqueo, fornito dai mari, che si cristallizza e cade sotto forma di precipitazioni nevose. Quando, a causa del raffreddamento terrestre, il ghiaccio non riesce a sciogliersi e rimane sulle terre emerse, la quantità di acqua che ritorna al mare attraverso i fiumi, diminuisce. All'incirca intorno all'ultimo massimo glaciale (durante la glaciazione di Würm) i ricercatori hanno valutato che il livello del mare si abbassò di almeno 150 metri. Questo cambiò la geografia delle coste. Nel Golfo del Messico, per esempio, la pianura costiera si estendeva per più di duecento chilometri oltre i confini attuali, le isole dell'Indonesia erano unite tra loro, mentre tra Asia sudorientale e Australia, a sua volta saldata alla Nuova Guinea, i bracci di mare erano meno larghi di quelli di oggi e non superavano quasi mai gli ottanta chilometri. Lo Stretto di Bering era invece completamente asciutto e una lunga lingua di terra univa la Russia all'Alaska. Il risultato più importante dell'abbassamento del livello marino fu la conquista da parte dell'uomo di nuove zone del Pianeta. L'occupazione del continente australiano (intorno ai 40 mila anni fa), fu una impresa di enorme importanza, perché per la prima volta richiese l'uso di imbarcazioni, pressappoco trentamila anni prima che una barca facesse la sua apparizione nel Mediterraneo. Per giungere in Australia dall'Asia era infatti necessario superare almeno otto bracci di mare, alcuni larghi anche ottanta chilometri, che i nostri antichi progenitori attraversarono utilizzando primitive zattere. Tra i 20 e i 30mila anni fa fu possibile raggiungere anche l'America "a piedi", percorrendo la lingua di terra dello Stretto di Bering. Lo fecero i mammut e altri grandi mammiferi dell'epoca, seguiti da alcune tribù di cacciatori della Siberia. Questi ultimi, però, dovettero accontentarsi di stabilirsi in Alaska, fino a quando un miglioramento del clima non aprì un varco nella spessa coltre di ghiaccio che copriva gran parte del continente nordamericano. Questo consentì spostamenti migratori negli Stati Uniti sudoccidentali e nell'America Meridionale, dove gli uomini arrivarono circa diecimila anni fa. A quel punto al freddo del grande periodo glaciale andarono via via sostituendosi le temperature che noi ancora oggi conosciamo. E inevitabilmente il livello del mare si rialzò, coprendo le antiche vie di transito utilizzate dalle popolazioni primitive. Un isolamento che portò alla differenziazione delle razze umane. Un'ulteriore conferma, per chi la cercasse, che le variazioni climatiche hanno avuto un ruolo fondamentale nella storia dell'intera umanità. E se capitasse ancora? L'aspetto del nostro Pianeta ventimila anni fa, durante il culmine dell'ultimo periodo glaciale, doveva essere impressionante. Enormi calotte di ghiaccio ricoprivano la Scandinavia e buona parte della Gran Bretagna, della Germania e della Russia europea. Sul Canada lo strato ghiacciato superava i due chilometri e mezzo e giungeva quasi in prossimità dell'attuale città di New York. Sebbene le distese di ghiaccio fossero una caratteristica soprattutto dell'emisfero settentrionale, anche in quello meridionale gli effetti del raffreddamento, seppure in misura minore, erano ben visibili in Antartide e sulle catene montuose più alte di Australia, Asia e Sudamerica. Complessivamente sulla Terra giacevano oltre quaranta milioni di chilometri cubi di ghiaccio, e le temperature erano in media di dieci gradi più basse rispetto a oggi. Anche gli ambienti naturali erano molto diversi e la loro disposizione non rispecchiava quella attuale. Uno scenario difficile da immaginare per gli uomini del Ventesimo secolo. Noi viviamo infatti in un periodo interglaciale, un intervallo relativamente caldo, con un livello del mare più alto di almeno 120 metri rispetto a quello della glaciazione di Würm. Dal momento però che non vi è alcun valido motivo per ritenere che da qui a poche migliaia di anni non debba tornare una nuova glaciazione, vale la pena di domandarsi che cosa potrebbe succedere se ciò accadesse. Per capire meglio quanto le variazioni climatiche possano causare disagi e tragedie alla popolazione umana, è sufficiente analizzare alcuni episodi legati a un improvviso e repentino abbassamento della temperatura, avvenuto nel millennio scorso, a cui gli studiosi hanno dato il nome di "piccola glaciazione" (non ha però niente a che vedere con le glaciazioni vere e proprie). Esemplare è la storia della colonizzazione della Groenlandia da parte dei vichinghi. Nella primavera del 985 d.C. venticinque navi, cariche di uomini, donne, bestiame e legnami da costruzione, salparono dall'Islanda alla volta della Groenlandia, che era stata scoperta qualche anno prima dal vichingo Erik il Rosso (partito sulla sua nave per scontare una condanna all'esilio forzato per tre anni, deciso dal tribunale del suo paese). Raggiunta l'isola, la colonia prosperò per diverse centinaia di anni, fino alla fine del Quattordicesimo secolo, quando un improvviso peggioramento del clima provocò la distruzione dei raccolti e l'interruzione delle vie di comunicazione con l'Islanda. Il mare, perennemente ghiacciato anche in estate, impedì a quegli uomini di lasciare quella terra divenuta così inospitale e segnò il tragico destino che portò alla morte migliaia di persone. Gli influssi negativi della "piccola glaciazione" furono avvertiti anche nell'Europa continentale. Essa si protrasse con effetti catastrofici dal 1450 al 1850. Specialmente nelle regioni settentrionali il clima freddo provocò la perdita di numerosi raccolti, diverse fattorie furono abbandonate e la carestia agevolò il dilagare di malattie contagiose come la peste. Il ricordo di quegli inverni rigidi rimane nei quadri dei pittori olandesi, che dipinsero pattinatori sui canali gelati, e nelle testimonianze dei cronisti dell'epoca che raccontano di fiere d'inverno sul Tamigi ghiacciato, di carri che agevolmente attraversavano la superficie gelata del Po e di una Laguna Veneta completamente stretta nella morsa del ghiaccio. E tutto questo fu causato da un abbassamento della temperatura che non superò mai il grado e mezzo rispetto alla media attuale. Se paragonata ai sette-dieci gradi in meno di una glaciazione vera e propria, si trattò di una variazione irrisoria. Ma è una prospettiva a dir poco inquietante.
Giuseppe Brillante

Newton 01 maggio 2000



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