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Le grandi interviste
Venter. L'uomo che ha svelato il codice della vita



Tutto il mondo lo conosce e punta sulle sue ricerche per curare le malattie più gravi. Lo scienziato racconta a Newton i suoi progetti dopo aver decifrato il Dna umano.
Da dieci anni, migliaia di ricercatori lavoravano incessantemente nei laboratori più avanzati del mondo per decifrare il codice genetico umano. Un passo dopo l'altro, si avvicinavano alla meta: la mappa completa del nostro Dna, lo schema che determina le caratteristiche fisiche individuali e la predisposizione a malattie ereditarie e multifattoriali. Poi, come un fulmine a ciel sereno, è arrivato Craig Venter. Fondatore e presidente di una compagnia privata, la Celera Genomics, autore di un metodo rivoluzionario per il sequenziamento veloce dei geni, la "tecnica della fucilata", Venter ha portato a termine l'impresa nell'arco di soli due anni, con l'aiuto di pochi collaboratori e una batteria di potenti computer. Per un soffio ha sottratto il primato al consorzio pubblico. Ora la Celera Genomics custodisce nei suoi archivi elettronici informazioni di valore inestimabile per la ricerca medica e Venter è diventato uno dei personaggi più famosi e controversi del panorama scientifico internazionale. Il coordinatore del Progetto Genoma che associa i ricercatori pubblici, Francis Collins, ha contestato la validità dei risultati ottenuti con il metodo della fucilata. Mike Dexeter, direttore del Wellcome Trust, l'ente che ha finanziato la ricerca pubblica, ha manifestato preoccupazione al pensiero che una compagnia privata possa vantare diritti legali sul patrimonio genetico umano. Intanto, i sequenziatori automatici della Celera continuano a lavorare a pieno ritmo: il 27 aprile scorso l'equipe di Venter ha completato la mappatura del genoma del topo. Laboratori e industrie farmaceutiche di tutto il mondo utilizzano le informazioni fornite dalla compagnia americana per mettere a punto dispositivi diagnostici e terapie. Pochi mesi fa la Chiron, un'azienda biotecnologica di Siena, ha dato inizio alla sperimentazione di un vaccino contro la meningite batterica, ottenuto analizzando il genoma del meningococco B sequenziato dai ricercatori della Celera. Newton ha intervistato Craig Venter a Siena, dove lo scienziato è stato insignito di una laurea honoris causa in medicina e chirurgia. Tre anni fa, quando ha fondato la Celera Genomics, ha detto che la mappatura del genoma umano era la missione della sua vita. Come è nato il suo interesse per la ricerca biomedica? Da giovane ero una persona piuttosto superficiale. Pensavo a divertirmi e non mi preoccupavo di quello che avrei fatto nella mia vita. Poi, alla fine degli anni Sessanta, ho partecipato alla guerra del Vietnam. Ho visto morire migliaia di ragazzi, senza che io potessi fare nulla per salvarli. Improvvisamente, il mio modo di vedere le cose è cambiato: ho deciso che dovevo impegnare la mia esistenza per aiutare le persone sofferenti. Quando sono tornato a casa, mi sono iscritto all'università. Volevo fare il medico. Nel corso degli studi, ho capito che sarei stato più utile se mi fossi dedicato alla ricerca di base. I risultati del mio lavoro avrebbero potuto salvare un numero maggiore di vite. Così mi sono laureato in biochimica. All'epoca la biologia molecolare e la genomica non esistevano. Poi è nato il Progetto Genoma Umano, io ho messo a punto la mia tecnica di sequenziamento e tutto il resto è venuto da sé. Per molti anni ha partecipato al Progetto Genoma Umano lavorando ai National Institutes of Health (i centri di ricerca della più grande istituzione pubblica degli Stati Uniti per la sanità, ndr). Perché ha deciso di abbandonare la ricerca pubblica e fondare una compagnia privata? Il metodo che avevo ideato per sequenziare velocemente i geni era controverso. I dirigenti dei National Institutes of Health dubitavano dei risultati e non erano disposti a rischiare il denaro pubblico per lanciarsi in questa impresa. Così ho cercato dei finanziatori privati e ho fondato il Tigr, The Institute for the Genomic Research, e in seguito la Celera Genomics. Nella primavera del 1999, quando io e i miei collaboratori della Celera abbiamo cominciato a mappare il genoma della Drosophila melanogaster, il moscerino della frutta, non c'erano reali garanzie che la tecnica della fucilata avrebbe funzionato. La sfida era impegnativa: era la prima volta che qualcuno tentava di sequenziare il Dna di un organismo complesso. Grazie alla bravura del mio gruppo, siamo riusciti nell'impresa. Abbiamo dimostrato che il metodo funziona. Via via che emergevano i risultati positivi sulla drosofila, guadagnavamo fiducia in noi stessi e pochi mesi dopo, il nove agosto del 1999, abbiamo dato inizio al nostro Progetto Genoma Umano. Il motto della Celera Genomics è "Discovery can't wait", la scoperta non può aspettare. Perché ha ingaggiato una gara di velocità con il consorzio di ricerca pubblico? Negli ultimi dieci anni, più di cinque milioni di persone sono morte di cancro negli Stati Uniti. Bisognerebbe chiedere a loro perché la velocità è tanto importante nella ricerca medica. Non possiamo perdere tempo, se c'è gente che muore e potrebbe guarire con il nostro aiuto. Alcuni scienziati hanno criticato il suo metodo. L'hanno accusata di sacrificare la precisione in nome della velocità. Che cosa risponde? I dati ottenuti da noi sequenziando il genoma umano con la tecnica della fucilata sono esatti al 95 per cento. Capisco la perplessità di alcuni colleghi, dal momento che la mia tecnica è nuova e completamente diversa dalla loro, ma i risultati ci hanno dato ragione. Abbiamo confrontato le nostre sequenze con quelle di singoli geni che erano già stati mappati da altri laboratori e il risultato è stato positivo. La parte più delicata del processo di sequenziamento è quella in cui i singoli frammenti del Dna vengono assemblati per ricomporre lo schema completo. È un problema di tipo matematico: per questo ho assunto venticinque matematici che hanno messo a punto degli ottimi algoritmi. I nostri computer hanno fatto il resto. I vostri computer e i sequenziatori automatici hanno svolto un ruolo molto importante nella mappatura del genoma umano. Quale sarà, secondo lei, il peso dell'informatica nel futuro della ricerca biomedica? Senza le macchine non saremmo mai riusciti a vincere la nostra sfida alla Celera. La compagnia impiega alcuni tra i più potenti computer per uso civile che esistono al mondo. I sequenziatori automatici richiedono un minimo intervento di programmazione da parte degli operatori e lavorano ventiquattro ore su ventiquattro a una velocità inconcepibile fino a pochi anni fa. I calcolatori non possono certo fare scoperte al posto degli scienziati, non possono sostituire completamente il lavoro di verifica in laboratorio. Possono fare delle previsioni basate su una serie di dati sperimentali e indirizzare la ricerca limitando i tentativi a caso e lo spreco di tempo. Sicuramente nei prossimi decenni il peso dell'informatica nella ricerca biotecnologica e biomedica sarà enorme, ma non credo che i progressi nel campo dei computer saranno la forza trainante della genomica. Al contrario, le esigenze dei biologi costringeranno gli ingegneri elettronici a produrre macchine sempre più potenti. Lo vedo già oggi alla Celera: lo sviluppo di nuove macchine stenta a tenere il ritmo dei nostri desideri e delle nostre richieste. Il Dna umano contiene poco più di 30.000 geni, un numero inferiore a quello previsto dai biologi. Che significato ha questa scoperta? Ha un significato molto importante sia dal punto di vista scientifico, sia da quello etico: vuol dire che la complessità del nostro organismo non risiede nei geni, che non basta leggere la mappa del Dna di un individuo per sapere tutto di lui, delle sue qualità e dei suoi difetti, e per prevedere la sua intera esistenza. Molti scienziati cercano risposte semplici alle domande complesse della biologia e si aspettano che il genoma umano fornisca loro queste risposte. Ma non è così. I geni sono pochi e la complessità dell'organismo deriva dalla loro interazione all'interno di ogni singola cellula, dall'interazione reciproca delle cellule e, soprattutto, dalle influenze dell'ambiente esterno sul corpo e sulla mente. Modificando una o due basi all'interno di un gene si ottengono variazioni macroscopiche nel fenotipo, cioè nell'aspetto fisico dell'individuo. Le differenze fisiche tra gli esseri umani derivano tutte da una decina di geni. Anche in medicina il determinismo non funziona. Sono pochissime le malattie ereditarie dovute alla mutazione di un singolo gene. La maggior parte di esse è multifattoriale. La Celera Genomics intende brevettare i geni che possono essere sfruttati per la ricerca medica. È lecito, secondo lei, brevettare i geni che sono la base stessa della nostra vita? Negli Stati Uniti è consentito brevettare la sequenza di un gene, in Europa invece no. Si possono brevettare solo le applicazioni basate sulla sequenza. La differenza non è solo legale, ma anche culturale. In Europa l'idea di vantare diritti su una porzione di Dna è considerata un affronto alla vita. Io la penso diversamente. Il brevetto è un incentivo per la ricerca scientifica e per l'innovazione tecnologica: nessuna compagnia impegnerebbe le sue risorse per mettere a punto un farmaco o un trattamento medico se non avesse garanzie di un ritorno economico. Il brevetto assicura un ritorno economico ai ricercatori e li spinge a proseguire nel loro lavoro. La Celera non tiene nascoste le informazioni che ha scoperto, ma le diffonde liberamente e gratuitamente ai ricercatori di tutto il mondo, attraverso la banca dati del nostro sito Internet. L'unica limitazione che imponiamo è che nessuno tragga dei profitti economici dalle sequenze che noi abbiamo ottenuto, impegnando le nostre risorse umane ed economiche.
Maria Cristina Valsecchi

Newton 01 luglio 2001



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