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Quindici anni fa il volo dello shuttle russo


La navetta "Buran" compì, senza equipaggio a bordo, un unico volo di prova andando in orbita con il razzo Energhia e atterrando in modo totalmente automatico
Nella notte fra il 14 e il 15 novembre del 1988, il cielo sul cosmodromo sovietico di Baikonur, nella steppa del Kazakhstan, fu illuminato dalla più grande scia di fuoco che si fosse vista in questa parte del mondo. Partiva per il suo volo inaugurale Buran (Tempesta), l'equivalente sovietico dello shuttle americano. La navetta era esteriormente molto simile a quelle americane anche se leggermente più piccola, con un vettore di lancio (Energhia) quasi identico. Ma, a differenza del modello americano, la versione ''Made in Ussr'' della navetta era completamente automatizzata e senza equipaggio. Volò in tutto per 205 minuti, compì due orbite a una quota però suborbitale e poi atterrò planando come un aereo sulla stessa base di Baikonur, senza incidenti.

Fu per la propaganda sovietica un clamoroso successo. Era stato compiuto il primo di quella che doveva essere una luminosa serie di voli del potente mezzo tecnologico che finalmente aveva fatto riguadagnare la parità nella corsa spaziale fra le due superpotenze. Invece fu il primo e anche l'ultimo volo del Buran, il canto del cigno di un'avventura che Mosca aveva già perso. Insomma, un progetto nato morto.

Il secondo lancio del programma fu infatti rinviato perché troppo costoso e per i troppi dubbi concernenti la sua sicurezza, anche in vista dell'ipotesi di dotarla di equipaggi. Infine, quando la Guerra Fredda, di lì a poco, finì, e la Russia nei primi anni '90 cadde preda del caos economico, il programma fu definitivamente abbandonato. Dal 2000 poi le tecnologie del programma Buran sono state dichiarate obsolete e le sue risorse tecnologiche inutilizzabili.

In occasione del quindicesimo anniversario di quell'unico lancio, coronato da pieno successo tecnico, la stampa russa ha dedicato all'anniversario ampi spazi, accomunati da un sentimento di malinconica amarezza.

''Al lancio di Buran molti speravano in un disastro'' ha titolato Izvestia, con una battuta tolta di bocca al cosmonauta Igor Volk, candidato a comandare il primo (ipotetico) equipaggio del Buran, intervistato dal giornale. ''Malgrado la validità delle soluzioni tecniche che avevamo approntato - dice Volk - io prima del lancio prevedevo già che sarebbe stato l'unico. Molti addirittura speravano in un catastrofe per eliminare alla radice le loro responsabilità di mettere a punto una navetta così sofisticata e complessa, che era pronta solo a metà".

L'anziano cosmonauta - protagonista negli anni '80 di missioni sulla stazione orbitante Salyut-7, ricorda poi che ''per la prima volta nella storia, per mancanza di tempo e di risorse abbiamo provveduto subito ai lavori di costruzione e di collaudo, saltando invece la tappa delle sperimentazioni scientifiche preliminari, che negli Usa è invece considerata fondamentale''. Quanto al fallimento del progetto, Volk appunta la sua diagnosi in particolare sulla scelta dell'automatizzazione: ''Lo ripetei cento volte, perfino all'allora capo del Cremlino, Mikhail Gorbaciov, che l'automatizzazione costava troppo rispetto al volo umano pilotato'', che invece rese vincente il progetto d'oltreoceano.

Piu' radicale la critica di un altro ''eroe del cosmo'' sovietico, Konstantin Feoktistov, con alle spalle numerose missioni negli anni Sessanta. Secondo lui ''tutti i difetti tecnici di progettazione di Buran emersero subito con chiarezza'' e fu in sostanza un miracolo che abbia volato senza incidenti. ''Tutti i progettisti - dice il cosmonauta sull'Izvestia - ne erano perfettamente consci, ma non potevano fermare o rallentare i lavori di costruzione''. In gioco infatti c'erano ''promozioni, gradi e onorificenze''.

Lo stesso progetto ebbe origine da un inganno, sostiene il prof. Efraim Akim, vicedirettore dell'Istituto di Matematica applicata dell'Accademia delle Scienze di Mosca, che vi lavorò. Fu Leonid Brezhnev ad avviare in segreto le ricerche nel 1976, quando il progetto americano era già molto avanti. Brezhnev fu convinto dai suoi esperti che Washington avrebbe potuto utilizzare le sue future navette per colpire qualsiasi punto dell'Urss con precisione dallo spazio, forse arrivando ad uccidere gli stessi membri del Politburo del Pcus. Fu lo stesso Brezhnev, sostiene Akim, a interrogare l'Accademia delle Scienze per sapere se ciò fosse possibile e, avendone ricevuto risposta positiva, ne fu molto impressionato. Akim riconosce comunque che la realizzazione del progetto Buran permise di risolvere molti problemi tecnici e le soluzioni adottate allora erano potenzialmente gravide di utili sviluppi.

Ma la malinconica testimonianza di ciò che poteva essere e non fu è oggi accessibile a tutti nel Gorki Park di Mosca, dove una delle tre navette costruite è stata trasformata in attrazione a pagamento. La seconda fu smantellata. Anche l'unica navetta che volò non potrà farlo mai più perché irrimediabilmente danneggiata dal crollo del tetto dell'hangar a Baikonur e dov'è ancora custodita sotto una massa di ferraglie insieme al suo razzo vettore.
24 novembre 2003



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